Stroscia dolce di due Santi

Stroscia - il dolce di due Santi

 

La storia

 

Si perde nella notte dei tempi l'origine di un dolce semplicemente fantastico.

Si parla di almeno cinquecento anni o forse più.

La “ Stroscia”, il cui nome ne deriva dal fatto che questo dolce non si può tagliare, si deve rompere (Struscià) con le mani.

Già questo, ne denota la semplicità e l'informalità proprie delle origini contadine (non è certo un dolce aristocratico, certamente, gli aristocratici si leccherebbero le dita), sembra dire, mangia e taci.

Contempla la sua fragranza, il sapore ed i suoi profumi.

Grazie ad un eccellente olio extravergine, da olive “Taggiasche” di Prebüna, lo rende un dolce a lunghissima conservazione naturale.

La conservazione non richiedeva particolari attenzioni, bastava mettere un panno bianco in una

cesta con un foglio di carta velina (per non ungere il panno) e ricoprire le “Strosce” ivi adagiate.

Si racconta, che la “Stroscia” sia il dolce dei Santi Patrono di Pietrabruna.

La “Stroscia”veniva prodotta in grosse quantità dalle famiglie in prossimità dei festeggiamenti Patronali (febbraio e settembre); e durava da San Gregorio a San Matteo e da San Matteo a San Gregorio, ed ecco che il dolce in casa era sempre assicurato.

La ricetta, non ha dosi ed ingredienti rigidi, ha una base e piccole varianti soggettive, che non ne variano di molto il risultato ma le rendono estremamente personali.

Oggi si tende a creare una ricetta con dosi precise per motivi commerciali, ma non sarà mai “Stroscia” vera.

La cottura veniva fatta nei forni del paese, in teglie (Fögli) prestate alla gente dai panettieri.

Ogni famiglia aveva il suo segno di riconoscimento, chi metteva una mandorla, chi una nocciola, chi un confetto, chi dei pinoli o altri segni distintivi per poter riconoscere dopo la cottura le proprie “Strosce”.

La ricetta, come dicevamo è variabile.

Serve la farina, lo zucchero (oggi certi”Chef” usano lo zucchero di canna) e l'olio, questi sono gli ingredienti base.

Un tempo la “Stoscia” si faceva senza lievito (rimaneva un po' troppo compatta); allora si inserì il lievito madre (Levà), poi, con il passar del tempo, per praticità si passò al lievito per dolci.

In origine si utilizzavano i prodotti del luogo, difatti nell'impasto veniva aggiunto del vino bianco (probabilmente il vino era un Vermentino locale); in seguito si è giunti ad usare il Vermouth e o la Marsala, oggi sembra che alcuni usino pure della Grappa.

La scorza grattugiata di un limone non tutti la mettono nell'impasto.

Una volta reso l'impasto della consistenza desiderata ( e qui sta il segreto, l'olio non si può quantificare con precisione, perché in base alle condizioni meteorologiche e alla mano serve più o meno olio), si divide il composto formando per ogni “Fögliu” sei o sette “Strosce”.

Si ricoprono le “Strosce” con lo zucchero semolato (o a velo) ed i segni distintivi.

Poi...

Cuocere e gustare.

 

 

Uby