Torre Paponi Brucia

Torre Paponi Brucia

 

Tratto

da

Storia della resistenza Imperiese

(I Zona Liguria)

volume III di Francesco Biga

 

Torre Paponi è un piccolo paese nell'immediato retroterra imperiese, sulla strada che da San Lorenzo al Mare conduce a Pietrabruna, nella vallata del torrente San Lorenzo, a 210 metri di altitudine. La popolazione (n. 150 abitanti) è composta, in stragrande maggioranza, di contadini olivicoltori piccoli proprietari e di qualche artigiano.

Durante l'occupazione nazifascista, senza essere un centro di reclutamento o base partigiana, è stato tuttavia un paese benemerito nella lotta di liberazione per i molti aiuti in denaro e viveri concessi ai partigiani di “Curto”, al distaccamento di “Mancen”, “Peletta”, “Artù”, “Danko”, al distaccamento “Fenice” e ad altri più piccoli. Anche muli e bestiame vario furono imprestati o venduti o donati ai partigiani nel periodo novembre 1943 a dicembre 1944 (1).

(1) (Gran parte dei tragici episodi di Torre Paponi narrati in questo capitolo sono stati tratti dalla testimonianza di Andrea Ascheri nativo del luogo, menzionato nella narrazione come protagonista, miracolosamente scampato alla strage).

Proprio nel dicembre del 1944 Torre Paponi viene a trovarsi al centro di una vasta zona partigiana.

Il nemico è a conoscenza di grossi concentramenti di garibaldini della IV brigata sulle alture comprese tre la valle Argentina e la val Prino. Per l'ennesima volta tenta di distruggerli mettendo in esecuzione i piani prestabiliti.

Dal mattino del 13 al pomeriggio del 18 di dicembre i Comandi tedeschi di Taggia, di villa Cipollini e di Sanremo, rimangono quasi completamente privi di truppa inviata in rastrellamento nelle suddette zone.

L'azione dovrebbe iniziare con un fulmineo attacco al paese di Badalucco per mezzo di artiglieria e di reparti di guastatori con l'incarico di distruggere completamente il paese, reo di accogliere e rifornire giornalmente i garibaldini. Ma l'azione, per cause imprecisate, viene alquanto ridotta. (2) (Da una relazione del responsabile S.I.M. Del 3° battaglione “Artù” al comando della IV brigata, del 17-12-1944, prot.n. 86/E/5).

Il primo contatto tra i garibaldini e Tedeschi in fase di rastrellamento avviene alle ore 22 del 13, quando il garibaldino “Baffino” del 2° distaccamento “Italo” (primo battaglione, IV brigata), addetto alle spese viveri, scaglia una lanterna contro due Tedeschi sbucati tra le case inferiori del paese di Pietrabruna. Raggiunto l'accampamento verso l'una dopo mezzanotte e dato l'allarme, gli uomini nascondono tutto il materiale pesante del distaccamento.

Presa la decisione di imboscare il nemico, 25 garibaldini guidati dal comandante “Curto”, che occasionalmente aveva pernottato presso il distaccamento,con passo celere raggiungono la strada ad un chilometro da Pietrabruna e attendono in agguato tutta la notte invano.

Ormai è iniziata la giornata del 14, il sole s'innalza, ma il nemico non transita. Quattro borghesi, incontrati nei pressi del luogo dell'agguato, affermano che in Pietrabruna non vi sono Tedeschi, però, ripresa la via del ritorno, i garibaldini vengono investiti da raffiche di “Mayerling” partite dalle prime case del paese.

La reazione è pronta ed efficace, ma rimane ucciso sul posto Giuseppe Sciandra (Matteo) fu Matteo, nato a Pamparato (Cuneo) il 12-09-1907, garibaldino della IV brigata, mentre il garibaldino “Lolli”, colpito in modo grave alla schiena, non può più camminare, però alcuni animosi, riescono a porlo in salvo. (3) (Da una relazione di Maurizio Massabò “Italo” comandante del 2° distaccamento (primo battaglione), al Comando della IV brigata, del 16-12-1944. Il garibaldino Luigi Rovatti “Lolli” sarà trasportato nell'ospedale partigiano di Tavole ove rimarrà fino al 28-01.1945 e poi in quello di Arzene (Carpasio) ove guarirà).

Sganciatosi, il gruppo di “Curto” insiste nell'agguato presso il paese di Torre Paponi fino a tarda sera, ma invano, il nemico è transitato altrove,. Già nelle prime ore del mattino altri piccoli gruppi di partigiani, per Torre Paponi, senza tuttavia fermarsi, avevano preso la direzione di San Salvatore.

Inspiegabilmente qualche ore dopo giungono i Tedeschi. Un piccolo gruppo di rastrellatori, forse di passaggio per caso o forse anche inviati sul luogo su segnalazione di qualche spia locale.

Intimorite dalla ostentata grinta dei nazisti, alcune donne del paese accennano o confermano (non è stato possibile accertare con precisione quale delle due versioni sia l'esatta) il passaggio dei gruppi partigiani. I Tedeschi non fanno commenti e si avviano in direzione del paese di Lingueglietta.

Giunti sulla collina che separa i due paesi, ecco che compiono la prima rappresaglia su alcuni ostaggi che si portavano dietro da chissà dove. Fucilano i civili Francesco Guasco fu Domenico, Carolina Guasco fu Domenico, Agostino Balestra di Ventimiglia e il pastore Pietro Lanteri nato a Realdo nel 1884, che col suo gregge svernava in Pietrabruna.

Costui portava a tracolla un sacco con del pane nero; gli sgherri ne prendono un pezzo e glielo infilano in bocca, quindi proibiscono di toccare il cadavere e ingiungono di lasciarlo per la strada a tempo indeterminato. Però dopo poco tempo il comandante “Curto”, di passaggio, ordina il recupero della salma ed il parroco la fa seppellire.

Alle ore 14.30 del giorno stesso i nazisti ritornano in forze su una quindicina di autocarri e circondano il paese.

Dopo un'intensa sparatoria eseguita con armi automatiche, restringono la morsa; ad un certo momento entrano nel paese e sparano a zero su un gruppo di giovani colti di sorpresa. Maurizio Papone, Pasquale Malafronte, Andrea Ascheri, Paolo Papone, Antonio Barla e quattro militari di stanza alle vicine polveriere, riescono a stento a mettersi in salvo. Rimane ucciso un giovinetto di quindici anni che stava rientrando in paese portando sulle spalle una fascina, non del paese ma profugo da Ventimiglia, in quei giorni battuta dai bombardamenti navali alleati.

Anche due donne, madre e figlia, colpevoli solo di aver chiamato ad alta voce il rispettivo figlio e fratello, bimbo di pochi anni, sembrando forse ai Tedeschi che esse cercassero di mettere sull'avviso ipotetici partigiani, vengono abbattute a raffiche di mitra.

Successivamente il paese subisce un iniziale incendio, prologo a quello ben più terribile appiccato due giorni dopo; vengono arse due case ed alcuni fienili.

A tarda sera, allorché i rastrellatori ritornano al loro Comando di Arma di Taggia con gli ostaggi Luigi, Stefano, Egidio, tutti di cognome Papone, e due profughi ventimigliesi, la popolazione riesce a circoscrivere l'incendio.

Però non tutti i Tedeschi lasciano la zona; alcuni piccoli gruppi si occultano, si pongono in osservazione e rimangono in contatto con eliografisti che, dalla località Castelletti, trasmettono segnali verso San Salvatore, davano disposizioni relative allo sviluppo che doveva assumere il rastrellamento nei giorni successivi.

All'alba del 15 altri fascisti e Tedeschi rastrellano nuovamente le zone Circostanti Torre Paponi, Pietrabruna, Lingueglietta e rinforzano una loro batteria piazzata a Pian del Drago. Per rifarsi dei magri risultati ottenuti nella caccia ai partigiani, razziano tutto il bestiame che trovano.

L'esasperazione è al colmo ed una squadra di garibaldini del primo battaglione, messa al corrente della situazione dai contadini, per liberare il bestiame attacca senza indugio il nemico che, sorpreso, si ritira in direzione San Lorenzo al Mare per chiedere rinforzi al Comando locale. (4) ( Da una relazione di “Gianni”, responsabile S.I.M., al comando della V brigata, del 18-12-1944).

Il distaccamento “Italo” rientra in stato d'allarme, il nemico è scorto in lontananza.

Nonostante le lievi perdite subite, il Comando tedesco ordina immediatamente di condurre una rappresaglia su Torre Papponi il giorno seguente con l'impiego di formazioni S.S. altoatesine e di brigatisti neri.

Gli ostaggi portati ad Arma di Taggia vengono rilasciati con la pura e semplice raccomandazione di non offrire più ospitalità ai partigiani e di rimanere tranquilli nelle loro case.

Ciò risulterà una menzogna ignobile a cui viene prestato credito per la sprovvedutezza del momento dettata dalla paura.

Con questo stratagemma i nazifascisti riescono a dissipare momentaneamente le apprensioni e ad affievolire la diffidenza degli abitanti di Torre Paponi, per poter mettere in esecuzione il loro insidioso piano, in particolare, per poter catturare più uomini possibile al momento opportuno, quando non guarderanno più di stare all'erta, premunirsi o nascondersi nei rifugi che si erano scavati per la campagna.

Anche l'accusa, che si sentirà ripetere poi dai fascisti con insistenza per giustificare la strage, che Torre Poponi ere un centro di banditi, sarà ben lungi da essere provata poiché il paese non è mai stato tale e tanto meno un centro di Comando.

Nella notte colonne tedesche di rinforzo partono da Castellaro e salgono in direzione del monte Faudo e del passo Vena, rastrellano passo Follia e San Salvatore, si scontrano con pattuglie del distaccamento di “Italo” sotto il monte Faudo e sparano nell'oscurità, alla cieca, con mitraglie a canne da 20 mm. (5). ( Da una relazione di Francesco Bianchi “Brunero”, responsabile S.I:M. Al Comando della V brigata, del 19-12.1944 n. 217).

All'alba del 16 le S.S., accompagnate da una spia in borghese, investono il distaccamento “Nino Stella”, distruggono i casoni dell'accampamento, qualche arma e vari equipaggiamenti (una cassetta di munizioni per “Mayerling” con circa 200 colpi, cinque moschetti, otto coperte, la macchina da scrivere e un fagotto di Farina). I partigiani si ritirano presso il distaccamento di “Pancio” che non viene investito;però in giornata cade il garibaldino della IV brigata Antonio Novella “Novella” fu Giovanni, nato ad Arma di Taggia il 12-02-1923.

Altre forze nemiche occupano la valle di Dolcedo; sei autocarri carichi di truppa raggiungono il paese, poi il borgo di Bellissimi e Santa Brigida, quindi lanciano razzi bianchi; è il segnale dell'attacco. Rastrellano la valle sotto Santa Brigida, le zone a monte, Lecchiore e San Bernardo; lunghe raffiche di mitragliatrice e colpi di mortaio si ripercuoteranno per la vallate fino alle ore 19.00 (6). (Da una relazione di Italo Bernardi “Montanara”, responsabile S.I.M., al Comando della IV brigata, del 16-12-1944, prot. n. 360/N/12).

Contemporaneamente a Lingueglietta, dove sostano per poco, le S.S. altoatesine arrestano il parroco del paese don Vittorio De Andreis, ritenuto colpevole di aver avvertito i partigiani con i rintocchi del mattino della presenza nemica. Dopo aver incendiato molte case di campagna e prelevano ventotto ostaggi (che tradurranno alle carceri di Oneglia e quattro saranno inviati in Germania di cui uno non tornerà più), proseguono il cammino e raggiungono Torre Paponi che si sveglia al crepitio delle armi automatiche.

Oltre 800 uomini tra Tedeschi e fascisti stringono in un cerchio di ferro e fuoco il paese impegnandosi in una delle più sanguinose imprese che la storia della Resistenza in Liguria ricordi.

Investono l'abitato con una valanga di proiettili, sparano con artiglierie pesanti e leggere, con razzi e proiettili traccianti, mettono in azione lanciafiamme e mortai che iniziano la loro opera di demolizione.

Sospeso il fuoco dopo circa mezz'ora, con mitra alla mano si lanciano nel paese. La prima vittima dello sterminio è Antonio Fossati di anni 43, ucciso a bruciapelo sulla soglia di casa. Il Fossati non è un partigiano o un particolare amico dei partigiani. Nessuno di quelli che saranno le innocenti vittime dell'infamia nazifascista potrà mai essere incolpata, a parziale discolpa per legge di guerra, di aver direttamente appartenuto al movimento di liberazione nazionale.

Colpito da una raffica di mitra al ventre, il sedicenne Giacomo Papone riesce a trascinarsi per una ventina di metri invocando disperatamente la madre, finché una seconda raffica sparata da un Italiano in divisa tedesca e che gli grida “te la diamo noi ora la mamma”, non lo inchioda definitivamente al suolo.

Matteo Temesio, decoratore di 41 anni, catturato presso la sua casa e condotto un po' fuori del paese, è ucciso con un colpo di rivoltella alla nuca.

Ernesto Pagani, Valentino Gonella, Luigi Papone (uno degli ostaggi rilasciato il giorno precedente), Bartolomeo Papone e Francesco Barla, vengono trucidati in gruppo in mezzo alle vie del paese. Si proibisce alla popolazione di rimuovere i loro corpi abbandonati sul posto, spostarli o pietosamente coprirli con un lenzuolo.

Sorte analoga subisce un altro Bartolomeo Papone, padre di famiglia numerosa, selvaggiamente ucciso ed abbandonato per la scala della propria abitazione.

Stefano Papone quindicenne (secondo ostaggio rilasciato), è ucciso poco distante,nella piazza ove era solito giocare a bocce.

Pure colpito Cosimo Papone, ma con scarso successo perché, con mossa prontamente eseguita, riesce ad offrire un bersaglio soltanto parziale ai mitra delle S.S. Per cui, ferito di striscio, se la caverà con un braccio amputato.

Dalla chiesa, dove erano stati sospinti ed ammassati dopo la cattura avvenuta nelle loro abitazioni, vengono prelevati Egidio Papone (terzo ostaggio rilasciato), don Pietro Carli parroco del paese, don Vittorio De Andreis canonico-vicario di Lingueglietta, Andrea Ascheri, due profughi di Ventimiglia di cui uno dodicenne ed Antonio Geranio; i civili sono immediatamente Trucidati lungo la rampa che immette alla mulattiera per Boscomare, invece i due religiosi, condotti in un fienile e uccisi, vengono cosparsi di benzina e bruciati.

Solo l'Ascheri, a cui si parla in francese e lo si invita a discolparsi, dopo aver subito una specie di processo farsa e dopo essere stato posto davanti al plotone di esecuzione per un po' di tempo, è rilasciato incolume, con minacce e l'ingiunzione di non muoversi dalla chiesa fino a nuovo ordine.

Compiuta la strage, gli assasini pongono mano al fuoco per cui ben poche case del paese rimangono indenni. Volutamente risparmiano la chiesa, la canonica, l'oratorio dei SS Cosma e Damiano ed alcune case site alla perifferia, invece incendiano tutte le altre case, la scuola e l'asilo, i fienili ele stalle.

Una densa nube di fumo si leva in aria e ben presto ricopre l'intero paese. Le case crollano con grande schianto in una scena apocalittica di desolazione e di morte. I superstiti, ancora ammassati in chiesa, vengono ammoniti a non uscire per le vie, pena la morte. I Tedeschi ed i fascisti, accampati in Torre Paponi, lasceranno l'abitato soltanto il giorno dopo, alle ore 11.30 circa (7). (Col titolo “Fremete”, riportiamo dal giornale provinciale “Fronte della Gioventù d'Imperia” anno I n. 5 (1944) la narrazione dei tragici fatti di Torre Paponi).....

….. A Torre Paponi i danni risultano incalcolabili; tutto attorno si respira aria di tragedia spaventosa. Le case continuano ad ardere ed i morti ostruiscono le strette vie del paese. I miseri cadaveri verranno ritirati soltanto qualche tempo dopo da militi dell'UNPA (Unione Nazionale Protezione Antiaerea) di Oneglia, a cui il Comando delle S.S. Di Taggia aveva trasmesso l'incresciosa incombenza.

La suora Giovanna Simondini, rimasta ferita durante il bombardamento di Pietrabruna, morirà ad Imperia nei giorni successivi. Ballestra Francesco, Maccario Domenico e Maccario Mario sono gli altri Ventimigliesi (frazione Torri) uccisi nell'incursione di Torre Paponi.

 

 

Specchietto riassuntivo delle perdite subite dal paese di Torre Paponi (150 abitanti) durante tutto il periodo della Resistenza.

 

Cittadini trucidati n. 28

Case incendiate n. 82

Vani distrutti n. 61

Bestiame asportato, capi n. 23

Partigiani locali caduti n. 4

Danni alle opere pubbliche Lire 348.546 (perizia del Genio Civile di Imperia)