Lavanda (Lavandula angustifolia)

 

Detta anche Lavanda vera, dall'arbusto di ridotte dimensioni (cespugli di 8/10 cm. di diametro). Cresce spontanea nelle Alpi Marittime, nei comprensori delle alte valli del Nervia, Argentina e del Tanaro; in una fascia che va dai mille ai milleottocento metri di altitudine.

Habitat tipico per queste piante sono le macchie basse e le garighe; ma anche i territori aridi e sassosi, esposti al sole. Il substrato preferito è calcareo ma anche siliceo con PH neutro, bassi valori nutrizionali del terreno che deve essere arrido.

 

Nella nostra provincia, è possibile osservare la lavanda spontanea, nei mesi, da giugno inoltrato a tutto agosto; percorrendo l'anello mozzafiato del Toraggio – Pietravecchia; giunti a circa meta del percorso, si può godere di un paesaggio unico nel suo genere, a sud il mare, ai vostri piedi piccoli cespugli di lavanda alternati a stelle alpine, e a nord vette alpine di oltre duemila metri d'altitudine.

Naturalmente, la lavanda, le stelle alpine e tante altre varietà floreali che vi circondano sono protette, quindi ammiratele, fotografatele o filmatele ma non raccoglietele.

 

Un tempo, la lavanda di questi luoghi poveri e angusti, veniva raccolta percorrendo a piedi ogni lembo di territorio, il risultato era minimo, ogni raccoglitore era contento se a sera tornava a casa con il sacco pieno. Era veramente un lavoro duro, di scarsi risultati e poco redditizio.

D'altro canto, dalla distillazione di questo profumatissimo fiore, si ricavava un'essenza

dalle straordinarie qualità.

Viste le qualità del prodotto ricavato, si pensò alla coltivazione della lavanda.

Testo e fotografie: Uby

 

Pietrabruna, coltivazione della Lavanda , ne parla, nel giornalino,

di seguito riportato,

“nuovo circolo ricreativo pro loco di Pietrabruna del 1997 “

Giuseppina Guasco

 

LA LAVANDA

 

Parlare della lavanda a Pietrabruna è come parlare della storia di questo borgo arroccato su una collina “baciata dal sole”che, a cominciare dagli anni cinquanta e per circa un trentennio, ha trovato in questo arbusto vigoroso e profumato una fonte primaria per il suo sostentamento.

La storia di questa coltura comincia da molto lontano; erano i primi decenni di questo secolo quando si imparò ad estrarre un delicato e profumatissimo olio essenziale dalle sommità fiorite della lavanda spontanea che cresceva da tempo immemorabile e allora molto più di adesso, sulle pendici dei monti del ponente ligure da cinquecento a millecinquecento metri di quota,dalla Val Roya alla valle Impero. Erano i tempi dei pionieri; la raccolta manuale col falcetto richiedeva tempi lunghi per lo scarso sviluppo in altezza dei germogli ed il trasporto, effettuato a spalla per lunghi tratti su terreni accidentati, era molto faticoso. Anche la distillazione richiedeva tempi molto lunghi per la scarsa capacità del contenitore e per la lentezza del procedimento (in genere poche decine di chili di fiori per ogni ciclo con una durata di almeno due ore). Come molti sanno la distillazione consiste nel far trascinare le essenze contenute nei germogli di alcune piante aromatiche per contatto con una corrente di vapore che viene poi convogliato in un serpentino (un lungo tubo immerso in acqua fredda) per ricondensare il tutto. In tal modo, nel vaso di raccolta, si rende possibile la separazione dell'acqua dall'essenza col tutto allo stato liquido. I primi impianti, alambicchi a “fuoco diretto”, producevano il vapore dall'acqua contenuta nello stesso recipiente di raccolta dei fiori che quindi lavorava come una pentola sul fuoco; nei successivi invece “alambicchi a fuoco indiretto”, il vapore era prodotto in una caldaia a parte e poi convogliato nella massa da distillare. Dagli inizi del secolo e fino alla seconda guerra mondiale, la distillazione della lavanda riguardava principalmente la spontanea e la sua raccolta interessava molte zone in particolare le valli Argentina, Nervia ecc.

A Pietrabruna si iniziò solo nella seconda metà degli anni venti con la spontanea, mentre i primi appezzamenti coltivati comparvero solo una decina di anni dopo; allora però le superfici interessate erano ancora piccole e poche le persone che ci lavoravano. Poi venne la guerra e, per la lavanda, una malattia che la ridusse al lumicino.

Nel dopoguerra, grazie alla scoperta del lavandino (un ibrido tra lavande molto più robusto delle piante d'origine, anche se la qualità inferiore come profumo), l'attività riprese interessando progressivamente un numero sempre maggiore di famiglie, Si arrivò così alla fine degli anni sessanta quando ormai, per la stragrande maggioranza delle famiglie del paese, questa coltivazione era una fonte di primaria di reddito che favorì un miglioramento del tenore di vita e arginò per qualche decennio l'esodo dalle compagne che invece interessava i paesi vicini. Gli impianti di lavorazione si erano moltiplicati in numero (fino a una decina), ma soprattutto in potenzialità.

Fu in quel periodo che questo piccolo paese si distinse per un originale e marcato fervore lavorativo che, nei pericoli della raccolta (agosto - settembre), diventava talvolta frenetico. La giornata lavorativa iniziava in torno alle cinque di mattina e proseguiva tempo indeterminato. Giovani e meno giovani, talvolta anche ragazzi si incamminavano quasi in fila indiana verso i campi e, sui ciottoli delle mulattiere, i passi dei muli schioccavano un “ritmo metallico”. Poi il flusso dei trasporti continuava pressoché tutto il giorno con un via vai incessante dai campi agli impianti. In un primo tempo bastavano i muli poi, aumentando le estensioni a le distanze, vennero le teleferiche ad aiutarli. Allora, quando tutto filava liscio, i fasci di fiori arrivavano dai campi in prossimità degli alambicchi appesi ad un filo; ma quando appesi ci rimanevano a metà strada, allora erano guai. Prima si sperava nello spintone del fascio successivo, poi se questo non batava..... occorreva l'intervento “volante”, ossia un uomo si attaccava ad una carrucola e si spediva per andare a spingere il fascio, molti in paese si ricordano chi aveva tanto ardire.

La motorizzazione anche qui avanzava e, col tempo, le strade interpoderali si diramarono gradualmente verso tutte le zone coltivate. Piano piano i muli andarono in pensione e anche le teleferiche diventarono silenziose; ma i “ gimpers” (piccoli camioncini dotati di marmitta non proprio catalitica) presero il campo e, per parecchi anni si fecero sentire quando, con ritmo incessante facevano la spola verso le zone di raccolta. E siamo a oggi, qualche appezzamento è restato per la volontà di qualcuno, ma è solo un promemoria di quel che c'era.

 

Lavanda

A l'ea ina prea bruna

Ca spussiava de lavanda,

tra turmenti, canti

e calli arruginii...

sasgeva u mundu d'amù,

d'alambicchi e gotti,

de pree e de savon.

Runszava e vespe

tra brassa de suù

Ommi forti, ommi sapienti

rieva tra spuse,

e corpi de magaiu

sutta u su

cu u rieva..

 

Di Claudio Dulbecco