La cattedrale degli ulivi

Maxéi (muri a secco)

L'opera dell'uomo, nel ponente ligure, è qualcosa di ciclopico.

I muretti a secco dei terrazzamenti, costruiti con immane dispendio di tempo e di fatiche, se si potessero misurare in lunghezza e in metri quadrati, non sfigurerebbero al cospetto della Grande Muraglia Cinese. Penso, che i nostri vecchi, che hanno costruito quest'opera di ripristino e di salvaguardia di un territorio altrimenti fragile, nel confronto con i Cinesi non sono certo secondi.

Uby

La Cattedrale degli ulivi

 

Tratto da “La crisi degli ulivi in Liguria”

di Giovanni Boine

 

E ecco le fatiche fatte sante, ed ecco... Le fatiche! Lavoro tenace, lavoro rude, lavoro anche di notte. E qui non v'è aratro, e qui non v'è ordigno, qui i solchi si fanno a colpi di bidente, uno dopo, l'altro, duri, violenti rompendo il terreno compatto e argilloso. Terreno avaro, terreno insufficiente su roccia a strapiombo, terreno che franerebbe a valle e che l'uomo tien su con gran opera di muraglie e terrazze. Terrazze e muraglie fin su dove non cominci il bosco, milioni di metri quadrati di muro a secco che chissà da quando, chissà per quanto i nostri padri, pietra per pietra, hanno con le loro mani costruito. Pietra su pietra, con le loro mani, le mani dei nostri padri per secoli e secoli, fin su alla montagna! Non ci han lasciati palazzi i nostri padri, non han pensato alle chiese, non ci han lasciata la gloria delle architetture composte; hanno tenacemente, hanno faticosamente, hanno religiosamente costruito dei muri, dei muri a secco come templi ciclopici di muri ferrigni a migliaia, dal mare fin su alla montagna! Muri e terrazze e sulle terrazze gli olivi contorti a testimoniar che han vissuto, che hanno voluto, che erano opulenti di volontà e di forza;(..)

 

Perché gli ulivi lentissimi a crescere, tardissimi a dare, solo i popoli ricchi li han coltivati; solo le generazioni a cui altre generazioni han tramandato una ricchezza sicura;(...)

 

E qui i padri han faticato pei figli e nepoti, qui ogni generazione visse degli sforzi della generazione passata e lavorò per la generazione veniente.

 

Ulivi, uliveti che pianti e che durano millanni; uliveti dappertutto! Il prato diventò uliveto, il campo uliveto, la vigna uliveto, il bosco in alto faticosamente, dolorosamente, tenacissimamente uliveto.

E l'opera trionfale della razza, di tutta la razza fu compiuta. Come il popolo di una città medioevale, la cattedrale sua, così noi nei secoli. Secoli di stenti, secoli di fede chiusa. Colpi di bidente, pietra l'una sull'altra a fatica; pareva avidità di possesso ed era nell'oscuro, nelle torpide volontà del volere, la coscienza d'una razza, la forza di una razza, la sicura religione di una razza. La nostra cattedrale! Gli uliveti folti, boscosi, d'argento per tutto! Avevamo fatto il nostro destino, il destino nostro e da ora conchiuso; i padri finalmente avevano fissato il nostro destino. E noi fummo fra gli ulivi come un popolo antico nella sua cattedrale: ogni nostra speranza era lì, ogni nostra sicurezza era lì, negli ulivi. (…) E noi fummo dunque, per fatica dei padri, uomini in cospetto del mondo e pacifici e ricchi. (…)

 

I poveri, nel decadere dei ricchi, parevano dapprima impinguare. Comprarono dapprima, avidi, dai ricchi, coi risparmi di chissà quanto; ed a me ragazzo, pareva che il loro salire fosse un trionfo fatale e giusto. Ma al fine, al fine chi era ricco si trovò povero e chi era povero, chi si curava ogni giorno sulla terra arsiccia e dura, chi la rompeva ogni giorno a gran colpi di bidente lucente, chi la fasciava, l'avviluppava della sua anima schietta, chi le dava tutta quanta la forza dei muscoli mai riposati; chi era povero e faticava, rimase povero e faticò.