Imboscata tedesca a Pietrabruna

Il verde del Faudo ingialliva, i cespugli erano diventati sterpi, le ultime foglie calavano silenziose per non turbare il freddo incanto dell'inverno ormai presente. Alla “Bramosa” era stata presa una decisione: spostare il campo. La brutta stagione e la lunga permanenza nello stesso posto rendevano opportuno il cambiamento; sul monte, diventato brullo, la piacevole brezza estiva era solo un ricordo, spirava, ora, un freddo vento che aumentava col passar dei giorni. Come nuova base venne scelto il bosco dei ”Lavanin”, situato al di sotto del Faudo, sul versante sud, venendo cosi ad evitare i venti del nord e trovandosi inoltre vicino a Pietrabruna, da cui poter attingere informazioni e rifornimenti alimentari. Oltre a ciò, diversi paesani si recavano settimanalmente sulla costa e nella città capoluogo, particolarità questa che a noi tornava molto utile; il bosco, poi, coni suoi robusti tronchi che coprivano un vasto tratto, dava la possibilità di mimetizzarsi al meglio; nella valle, infatti,i soli uliveti più vicini al mare conservavano interamente il fogliame anche nel periodo invernale, ma la loro vicinanza alle postazioni fisse nemiche sconsigliava l'insediamento. Al centro di una radura vennero sistemate la cucina e le poche riserva e alimentari, mentre il distaccamento, diviso in piccoli gruppi, prese posto nei rifugi in pietra disseminati all'intorno. Lunghe ore di giornate interminabili, trascorse fra nodosi alberi i cui rami spogli sembravano chiedere un po di sole ad un cielo ermeticamente grigio; unico intermezzo, ritrovasi alla distribuzione del rancio per ricevere minestre di riso altrettanto lunghe, arricchite con l'aggiunta di qualche patata, il cui ritrovamento veniva segnalato con un grido di trionfo dal fortunato scopritore. Il tedio di quei giorni era confortato dal lento, ma inesorabile passare del tempo, il pensiero del domani aiutava a sorridere. Spesso, con pochi compagni, ci si appartava nelle vicinanze e si accendeva un fuoco; un elmetto poi, una vecchia casseruola, bucati, servivano per arrostire le castagne preventivamente raccolte. Un sasso per sedile e una coperta sulle spalle, a difesa dell'invadente umidità, moderni zingari che la guerra affratellava, e scorrendo le ore, fra lo scoppiettio delle castagne che si arrostivano; ricordi di esperienze diverse, nel calore di un fuoco che avvicinava, episodi raccontati con l'esuberanza della giovinezza e la pacatezza della maturità, e cosi per molte ore di quei giorni, fino a quando il freddo diventava pungente e l'ombra della sera ci raccoglieva infreddoliti nel piccolo rifugio illuminato dal lanternino ad olio. E si parlava ancora, si raccontava, arrestandosi a tratti per ascoltare il brusio del vento fra gli alberi del bosco, insieme e vicini, fino al giungere puntuale del sonno. Era arrivato dicembre e il pallido sole di quel primo giorno aveva accompagnato i tedeschi a Pietrabruna nelle prime ore del mattino. Una malcelata inquietudine agitava l'intera base, la segnalazione era stata portata dal nostro incaricato all'acquisto del pane, il quale, in procinto di entrare in paese, aveva fortunatamente incontrato un contadino che ne usciva per avviarsi al consueto lavoro; l'informazione raccolta era scarna e consisteva nel diretto incontro dello stesso con un paio di soldati tedeschi che avendo proseguito nel loro cammino, del tutto indifferente; non poteva perciò fornire altre informazioni. Oltre a ciò, da qualche giorno circolavano voci sulla presenza in Pietrabruna di una spia, che risiedeva nel paese, attendibilità difficile da stabilire per il sensibile numero di persone che per ragioni di lavoro o affari si recavano periodicamente ad Imperia, centro per l'intera zona di uffici informativi e comandi delle varie armi, impegnati esclusivamente nella repressione della guerriglia. L'insicurezza sul da farsi durò per poco, era necessario defilarsi immediatamente per evitare un probabile scontro con un nemico di cui non si conosceva la forza e l'intenzione. Si procedé quindi ad evacuare il campo, avviandosi verso un settore della valle privo di sentieri; un percorso sui resti di una rada vegetazione, fatica e spine consuete, abbondante sudore per lo sforzo espresso. Si ritenne opportuno spostarsi sul versante opposto alla posizione del nostro campo, annullando il vantaggio della possibile informazione fornita al comando tedesco. Il ritmo della marcia ci impegnava totalmente e scaricava il vuoto d'una noia accumulata in giorni inutili; la fatica non preoccupava e le mani, nello stringere la armi, ne carpivano una nuova energia. Il fondo valle in breve raggiunto e, dopo il torrente, si scavalco la strada carrareccia con estrema prudenza; durante il tragitto si erano raccolte altre voci che assicuravano la presenza dei soldati e la loro probabile intenzione di rientrare in giornata nella riviera; naturale, quindi, il delinearsi di un piano operativo preciso. La strada nel suo tortuoso percorso accompagnato dai vari dislivelli, rendeva particolarmente idoneo il nostro appostamento, accuratamente disposto su un grosso sperone roccioso, proteso sulla stessa,, alla fine di un'ampia curva. Distesi fra le rocce si attendeva pazienti, una insolita calma si evidenziava nei gesti dell'intero reparto tranquillizzato dalle ultime informazioni che capovolgevano la situazione completamente. Si ritorna ad essere cacciatori, pronti a colpire la pericolosa selvaggina. L'attesa d'un tempo che sembrava arrestarsi divenne ansia, i minuti diventavano ore, e nella strada il vuoto; Il nervosismo comincio ad affiorare, le voci salirono di tono nel chiedere il da farsi, infrangendo la dovuta prudenza ma, improvviso, un rumore, un rumore di passi prodotto da poche persone, e alla svolta apparvero due paesani che, tranquilli, procedevano verso il fondo valle. Il nostro richiamo li bloccò immediatamente, e alla domanda: “dove sono i tedeschi”, apparve sui loro volti un'evidente espressione di stupore, subito seguita dalla risposta verbale che, questa volta, stupì noi tutti: “quali tedeschi”. I contadini provenivano direttamente dal paese e, a loro sentore, non vi esisteva alcuna presenza di forze germaniche; qualche parola ancora di precisazione , un amichevole saluto, e se ne andarono tranquilli com'erano venuti, Ci si guardò in faccia senza parlare, si raccolsero le armi per incamminarsi subito,disordinatamente, verso Pietrabruna; alla silenziosa perplessità rifiorì il dialogo, malgrado la stanchezza cominciasse ad affiorare. Il resto del percorso continuò nella ricerca d'una motivazione che giustificasse la logica dei fatti intervenuti. Le prime case del paese erano già superate e si continuava a procedere a piccoli gruppi, chiacchierando animatamente

quando, improvviso, il fulmine; armi nascoste esplosero nei nostri timpani, “majerling e machin pistol” sgranavano spietate i loro colpi in continuazione. Attimi di nebbia, in un brancolare nel vuoto; senza saperlo, ero già a terra, perfettamente immobile in un diluvio di pensieri che smarrivano la mente, urla e richiami all'intorno, mentre le armi non cessavano il pauroso ritmo; vicina la voce amica di Vento che urlava: “Faggian è morto”, e un piede mi saliva sulla schiena; una confusione caotica, indescrivibile e, improvviso, il silenzio. Le armi tacevano, forse il nastro dei proiettili era terminato ed era necessario qualche secondo per sostituirlo, e allora scattai, ponendo tutta l'energia di cui ero capace, come allo sparo d'uno starters che comanda la corsa; una decina di metri e mi abbandonai sul fianco della massicciata che sosteneva il sentiero, le mani aggrappate all'erba che l'avvolgevano, celando aguzze pietre; cinque o sei metri e mi trovai sul fondo perfettamente illeso, le ammaccature non contavano; l'arma era ancora silenziosa. Storditi e attoniti, come ubriachi, ci si allontanò rapidamente nella sicura copertura delle alte gradinate che circondavano l'abitato. Per la prima volta avevamo subito un'imboscata, acquisendo una nuova esperienza, ed era inutile al momento ricercarne il perché; era opportuno ricongiungersi all'altro gruppo, nell'imprevisto il distaccamento s'era diviso in due. Stanchi, ma sopratutto depressi per lo smacco ricevuto, e constatando le difficoltà del ricongiungimento, si occupò l'intero pomeriggio in sicuri appostamenti, stringendo la cinghia abbondantemente allentatasi, e solo verso sera, poco prima del calar della notte, si affrontò la marcia del rientro. Al “Lavanin” un uomo solo attendeva, ci comunico di salire al vecchio campo della “Bramosa”, dove l'altro gruppo ci aveva preceduti; i tedeschi, e questa volta l'informazione veniva data per certa, avevano abbandonato Pietrabruna dirigendosi sulla costa. Provati dal peso della giornata, percorremmo lentamente l'ultimo tratto di strada che ci separava dal campo, accompagnati dal solo rumore delle nostre scarpe, e quando lo si raggiunse, un pallido sole, liberatosi dalle nubi, si immergeva piano sul profilo del mare. Una giornata intensa e fortunata, ma non per tutti: Lollo* , del gruppo modenese, era stato colpito da un proiettile di “machine pistol” che gli s'era incastrato in prossimità della spina dorsale; cominciò per lui la dura prova di una continua fuga, peregrinando da una valle all'altra, nel tentativo di sfuggire alla cattura, resa più facile dalle sue condizioni.

*”Lollo” nome di battaglia del garibaldino Luigi Rovatti, evento del 14 dicembre 1944

Segurirà “ Lettera a Silotta”

 

Tratto dal diario partigiano

I giorni della primavera

di Renato Faggian “Gaston”